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L’autodeterminazione delle donne non è un diritto negoziabile

Per autodeterminazione delle donne si intende la libera scelta di decidere su ogni aspetto delle loro vite. Ma la crisi economica facilita meccanismi di regressione della condizione delle donne sostenendo il ritorno ai ruoli riproduttivi e assistenziali del sistema famiglia, piuttosto che produttivi, e in qualche modo negando tutte le conquiste proprie dell’autodeterminazione . 

La bocciatura dell’articolo costituzionale sulla famiglia lo scorso 3 marzo, che si prefiggeva di facilitare la conciliabilità tra famiglia e lavoro (un grattacapo soprattutto femminile), è eloquente: le donne scelgano o la casa, o il lavoro. Nonostante il voto favorevole del popolo, ancora una volta sono stati i cantoni svizzerotedeschi più conservatori – verosimilmente sensibili alla vergognosa propaganda dell’UDC – a sabotare un articolo che avrebbe finalmente riconosciuto il valore della famiglia e il ruolo delle donne. Donne di cui la società ha bisogno anche per garantire il livello dello sviluppo economico del nostro Paese.

Grazie al tempo parziale, come indica l’Ufficio federale di statistica (UST) nella nota di lunedì 4 marzo1, le donne sono maggiormente presenti sul mercato del lavoro. Ma l’offerta di strutture extra familiari, a causa della bocciatura dell’articolo costituzionale, continuerà ad essere carente e penalizzerà quelle donne che non possono beneficiare di una rete familiare. Un ostacolo, quindi, anche alla carriera confermato dalle cifre dell’UST: “Nel 2011 solo un terzo dei dipendenti con funzioni dirigenziali – ovvero ruoli di dirigente o membro della direzione aziendale – erano donne. Questa quota risulta pressoché invariata dal 1996”.

Certo, non bisogna dimenticare le condizioni di lavoro: le disparità salariali sono le discriminazioni più palesi. In Svizzera le donne continuano a guadagnare mediamente il 18,4% in meno degli uomini per un lavoro di pari valore. Le donne hanno dovuto lavorare fino al 7 marzo (giornata dedicata all’Equal pay day) per ricevere lo stesso stipendio che gli uomini avevano già percepito il 31 dicembre dell’anno precedente. La precarietà, il lavoro su chiamata e i tempi parziali molto frammentati, continuano a declinarsi principalmente al femminile, con conseguenze molto pesanti a livello di assicurazioni sociali (AVS e Secondo pilastro). Conseguenze che compromettono profondamente le libertà di scelta della donna.

Ma i venti contrari all’autodeterminazione delle donne vanno oltre. L’altro giorno gli ambienti anti-abortisti svizzeri hanno lanciato una nuova iniziativa popolare "La protezione della vita colma una lacuna miliardaria". Obiettivo del comitato d’iniziativa è di impedire l’aborto, ma anche l’aiuto al suicidio o la ricerca sulle cellule staminali. Allucinanti gli argomenti: «Gli aborti sono nefasti per l’economia svizzera, dato che riducono il prodotto interno lordo (PIL) e il consumo (…). I nostri concittadini dovrebbero nuovamente creare famiglie, concepire e allevare figli». Attualmente all’esame delle Camere federali un’altra iniziativa popolare antiabortista, che vuole sopprimere il rimborso delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG).

È più che mai palese che l’autodeterminazione della donna in materia di maternità è oggetto di un attacco autoritario che vuole azzerare le conquiste delle donne. Una vera emancipazione sociale della donna è l’unica condizione che potrà condurre alla diminuzione del numero di ricorsi all’aborto, che rimarrà sempre e comunque un inalienabile diritto di autodeterminazione sul proprio corpo.

La chiave del cambiamento consiste in un mutamento della cultura, che deve mirare alla parità, frutto di un’emancipazione culturale, non più sessista o lesiva della dignità della donna.

1Dati dell’UST

La partecipazione alla vita professionale delle donne è elevata: nel 2011, tra le donne di età compresa tra i 15 e i 64 anni era del 76,7% (uomini: 88,7%). Nel 1991 era del 68,2% (uomini: 91,1%). La quota di donne attive professionalmente piuttosto elevata è dovuta in larga parte alla notevole percentuale di donne impiegate a tempo parziale: 6 donne occupate su 10 lavorano a tempo parziale (1991: 5 su 10). Negli ultimi vent’anni la partecipazione alla vita professionale degli uomini non ha subito notevoli cambiamenti, eccetto l’incremento del lavoro a tempo parziale che è passato dal 7,8% al 13,6%.

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